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FENOMENOLOGIA DELLA FOTOGRAFIA

ti ci potrebbero volere 9′ minuti di lettura; ma per fare una buona foto ci vuole pazienza

Kodak fallisce nel 2012

Fotografia e turismo. Turismo e fotografia. A braccetto da quando esiste il turismo, o da quando esiste la fotografia, inutile domandarsi quale sia nato prima; se il bisogno di esplorare nuovi luoghi, o l’esigenza di portarsi via dei ricordi dai posti visitati. 

La fotografia risultava essere dunque una combinazione tra una personalissima e rudimentale forma di souvenir ed un’altrettanto personale testimonianza della propria visione ed interpretazione del luogo. 

Il cercare di portarsi via un ricordo di un luogo lontano ha da sempre contraddistinto i viaggi umani, sia esso materiale od immateriale. Dagli obelischi nell’antichità, agli archi di trionfo, o anche solo dall’emulazione di pratiche, culture ed un usanze. 

Più recentemente i ricordi si sono materializzati sotto forma di riproduzioni del luogo, ed hanno iniziato a viaggiare assieme ai visitatori in maniera più leggera e pratica rispetto agli obelischi, prendendo gli stessi mezzi di trasporto, stando al passo con i tempi. Subendo le tendenze e le mode.

LA PITTURA VIAGGIAVA SU ROTAIA, IN PRIMA CLASSE

Immortalare i luoghi del leisure era un’attività che facevano già i pittori e gli intellettuali ai tempi dei grand tour ottocenteschi. Dipingevano le diversità, per poi mostrarle e riproporle a chi, questi luoghi mai li avrebbe potuti ammirare. Fu così quindi che le rotaie di tutta Europa iniziano a popolarsi di primordiali viaggiatori in cerca di ispirazione letteraria o pittorica. Rampolli di famiglie facoltose che si muovevano senza un confine spazio-temporale definito con lo scopo di conoscere, esplorare ed apprendere. Veri viaggiatori, primordiali turisti. Le reti ferroviarie erano capillari, e permettevano di raggiungere in treno valichi di montagne nel mezzo delle Alpi, o addirittura destinazioni medio-orientali. Oggi queste linee non esistono più. 

All’epoca (XVIII-XIX sec.) la fotografia era ancora agli albori, venivano scattate tramite apparecchi poco pratici, si sviluppò di conseguenza una prolifica fase pittorica, per lo più paesaggistica, comunque di carattere narrativo prima di sfociare nelle correnti impressioniste od espressioniste.
Il fine era sì, quello di rappresentare la sorprendente diversità di un luogo, ma anche, quello di divulgare ad altri la ricchezza e la vastità di forme e culture che il mondo offre. L’arte figurativa richiedeva tempo, maestria, tecnica e dedizione. Poterla praticare era dunque quasi un privilegio, come il poter viaggiare e spostarsi del resto.

La fotografia di viaggio, i foto-racconti, arrivarono qualche decade dopo (inizio XX sec.), con l’introduzione dei rullini e l’estinzione delle macchine fotografiche con il cavalletto fisso e la tendina. Pensionate malamente dall’avanzare lento ed inesorabile del progresso: diventate pezzi da museo, assieme ai grammofoni. 

I soggetti delle foto per i primi viaggiatori moderni erano i luoghi, intesi come l’insieme di usanze e di persone che li abitano, vivono e li animano. A volte lontani da noi, vuoi per effettiva distanza geografica, vuoi per usanze ed attitudini dei loro abitanti. Viaggiare era – e lo è ancora oggi, solamente sotto un’altra forma – un atto per privilegiati, un lusso. Avere l’opportunità di scoprire un’altra cultura, è una forma di arricchimento notevole, a prescindere dalle ricadute artistiche che questo possa avere.

Col tempo però, anche le rotaie rischiano di arrugginirsi, e parallelamente, i treni a lunga percorrenza iniziarono a diminuire. Vennero progressivamente soppressi complici le crescenti tensioni politiche tra stati. I grand tour divennero presto “grande guerra”, e le fotografie di quell’epoca raccontano miseria e distruzione di culture.

FACCIAMO UNA FOTO-RICORDO?

Comparirono le strade, le autostrade, le infrastrutture, le autovetture e gli autogrill. Sopraggiunse un’apparente libertà di movimento, slegata dagli orari prestabiliti delle stazioni e dai percorsi fissi su binari. Stava arrivando velocemente una nuova forma di viaggio, ed una diversa concezione delle distanze. L’ avvento del turismo di massa, lo sviluppo tecnologico dei mezzi fotografici – e dei mezzi più in generale – , resi più accessibili per prezzi e praticità di utilizzo.

Si potrebbe intendere l’arte della fotografia per una sua accezione nobile, quella divulgativa: le mostre prima, le serate “foto /diapositive / filmini delle vacanze” poi, i social network oggi. Il viaggiatore è diventato turista, e come tale ha mutato il suo focus, non più verso la scoperta del luogo, ma verso l’esperienza che lui stesso prova immergendosi nel luogo. Il tutto passando attraverso il concetto di foto ricordo, quelle rimangono, qualsiasi sia la loro forma ed i loro colori, solo il tempo può renderli più vividi o più sbiaditi. 

Ad ogni auto corrispondeva una famiglia. Ad ogni famiglia corrispondevano nuovi elettrodomestici, acquistati talvolta anche con sforzi economici, con nuove formule “a rate”. Era tutto nuovo, fu un Boom. Lungo le autostrade sfrecciavano macchine che contenevano macchine fotografiche moderne, rullini, negativi, a volte diapositive istantanee.

Ognuno aveva nelle proprie mani la possibilità di sviluppare un proprio foto-racconto, di sviluppare sé stessi. Era stata elargita al Popolo la possibilità di esprimersi attraverso uno strumento tascabile. Il Boom aveva reso tutto potenzialmente “di massa”. Esattamente come prima i pittori dipingevano, ecco che tutto d’un tratto la gente faceva fotografie, e tanti saluti all’arte pittorica. Si raggiunse la potenziale libertà di espressione universale. In effetti si acquisirono anche dei diritti, si stava bene con il Boom.

Si arrivò quindi lentamente, a fotografare, non più per raccontare ma per raccontarsi. Se stessi o le proprie vacanze; lo si faceva con entusiasmo e semplicità, con l’innocenza di chi sperimenta qualcosa di nuovo. Si sviluppava però anche un sentimento nuovo, l’egoismo. Il Boom aveva cambiato il paradigma.

Gli amici, tornati da mete, vicine o lontane, elargivano fieramente un invito nelle proprie dimore, per mostrare le “diapositive delle vacanze”. Certo, una scusa come un’altra per rivedersi dopo un periodo passato distanti, ma al tempo stesso un’occasione per esibire il loro tempo, per mantenere vivo un momento, per rivivere un ricordo.

Successivamente, iniziarono a comparire gli album fotografici, pazientemente e sapientemente redatti, si dava valore alle fotografie, ai momenti che esse rappresentavano. Si aggiungevano didascalie, date, nomi, sotto ciascuna di esse, passando così ad un approccio più intimo. Le foto venivano conservate quasi con gelosia, e tra le pagine vi erano fogli di pregiata carta velina, per evitare che gli attimi si mischiassero o si rovinassero.

Le fotografie venivano fatte per ricordo, forse più personale che pubblico (per essere pubblico si presuppone vi sia un pubblico, a meno che non si trattasse di “mostra”); per ricordare o per ricordarsi, di una situazione, un luogo, una compagnia. Alla domanda “facciamo una foto ricordo?” una risposta negativa era villana.

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Vola veloce come l’internet

VOLO – FOTO – ATTERRAGGIO – FOTO – FOTO – FOTO

Oggi stiamo vivendo un ulteriore cambio di paradigma. Dove tutto è superato. Fuori moda.

Kodak è fallita nel 2012, e con lei i suoi rullini. Le diapositive hanno fatto la fine dei floppy disk. Viaggiamo con uno smartphone in tasca, dal quale prenotiamo aerei senza dover passare per le agenzie di viaggio, abbiamo ampliato il nostro raggio di azione, e quasi ogni angolo del mondo è accessibile. Siamo iperconnessi e scattiamo foto senza dover contare quante ne mancano. Se serve, o se ci manca, possiamo comprare addirittura la memoria.

Non ci dosiamo più. Tutto finisce in calderoni fotografici virtuali, giga su giga di ricordi intangibili. Viviamo in un’epoca dove la condivisione regna sovrana, e con essa l’egocentrismo che ormai ci guida. Le istantanee invecchiano nell’arco di pochi secondi. Non esistono più, nemmeno loro, non resistono.

Abbiamo smesso di visitare i luoghi, essi sono il contorno alla nostra presenza. Conta di più l’avere una foto – ben fatta – in un luogo che una foto del luogo. Il verbo ha assunto valenza riflessiva, e noi siamo transitivi.  Fotografarsi e non più fotografare. Al limite, farsi fotografare.

Il contorno delle persone presenti nel posto, diventa quasi sgradito; gli abitanti sembrano essere lì per rovinare gli scatti preziosi, per contaminare i ricordi, per infastidirci con la loro presenza e le loro bizzarre usanze e lingue diverse. Ormai del luogo sappiamo già tutto, ed apprendere oltre questo tutto è faticoso.

Ci vuole pazienza sia chiaro, la perfezione non arriva al primo colpo; saper aspettare il momento giusto, chiedere persino alle altre persone di spostarsi, di uscire dall’inquadratura, è nostra! Non vogliamo nessuno intorno, nemmeno nei luoghi più affollati, quelli dove è ovvio che ci sarà altra gente, la stessa con cui abbiamo condiviso l’aereo, o che abbiamo incontrato a pranzo. Magari anche simpatici, ma adesso levatevi. Lasciatemi la scena, o per lo meno, abbiate la decenza di aspettare il vostro turno.

Foto di foto_Marocco
C’era la coda

Coloro che un tempo erano soggetti di fotografie, diventano progressivamente contorno: vale per i luoghi e per gli abitanti. Divenuti elementi di arredo delle nostre vite.

Ha ancora senso dare loro attenzione, ora che il mondo è globalizzato ed in ogni mercato ci sono le stesse cose? Gli abitanti dei luoghi sono diventati oggetti, pezzi del paesaggio da immortalare, persone cui rubare attimi di vita per arricchire le nostre fotografie ed i nostri momenti futuri, per alimentare i nostri ricordi. Per alimentare (letteralmente feed) i nostri algoritmi? Una foto senza soggetto è più scarna, su questo non si discute, a prescindere che il soggetto sia un io consapevole o un passante còlto al posto giusto al momento giusto. I soggetti sono apparentemente necessari; sta quindi al fotografo – pittore contemporaneo – scegliere che realtà raffigurare, quale versione dipingere ed immortalare. Sta però a noi scegliere se pubblicare la nostra “creazione”, ora che tutti abbiamo un pubblico e siamo diventati artisti presso noi stessi. Si tratta di trasmettere, comunicare, veicolare messaggi e valori. Decidere se peccare di egoismo, purché fatto in maniera consapevole. Sta a noi interrogarci, domandarci, se ha ancora senso continuare a condividere tutto in un’epoca dove tutto è superfluo? Perché lo facciamo?

Lo facciamo per il prossimo.

foto di foto_Beirut
Attimi rubati ad un ladro di attimi

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