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GIUSEPPE, L’EBBREZZA DI FARE SEMPRE LA SCELTA SBAGLIATA

articolo frutto dell’irrazionalità di Jacopo Misiti

Questa è una storia come tante e parlerà di turismo, ma dal punto di vista di un solo turista, un solo consumatore, delle sue scelte, spesso sbagliate, sconsigliabili, ma rivendicate. Niente pretese scientifiche: chi vuole fare ricerca, si legga i paper di Elsevier.

Il turismo è materia scivolosa, proprio per la sua apparente accessibilità. A differenza di altri campi del sapere, come ad esempio la virologia o la geopolitica, è anche un costante evergreen: tutti parlano di turismo, ed il turismo fa di tutto per rendersi green. Se il turismo può risultare stagionale, discuterne è tutto l’opposto. Lo facciamo alle cene, nelle pause caffè coi colleghi, al telefono coi nostri partner, insomma sempre. È un argomento da chiacchiera da bar e come tale rientra quindi nel novero della scienza, dell’economia, della filosofia.

Mare o montagna? Basta che si giochi a carte

Nel turismo siamo noi consumatori che diciamo dove andare in vacanza, siamo sempre noi che ci indigniamo per gli aumenti dei prezzi delle compagnie low cost, noi che osserviamo le Dolomiti in dicembre e ci stupiamo se c’è meno neve dell’anno scorso. Non c’è un filo, è tutto sconnesso. E va bene così. Questo è turismo: aneddotica allo stato puro. Immagini. Storie personali.

Le storie sono soggettive, semplici, senza fondamenti scientifici, tutt’al più amplificate nella loro narrativa. Storie simili, da un punto di vista empirico, che portano a conclusioni generali.

PIACERE GIUSEPPE, IRRAZIONALE

Il personaggio di questa storia si chiama Giuseppe. Nelle sue vicende vi sono elementi fortemente autobiografici. Giuseppe è un turista, o, come insegnano all’università nei corsi di Management del Turismo, un consumatore del leisure, che spende qualche monetina in più per qualcosa che – si spera – possa risvegliare la mente, fosse anche un’emozione, un istante, un momento. L’intangibilità di un piacere dettata dall’incommensurabilità di un’esperienza. Pagata – spesso – a caro prezzo. Del resto: quanto vale un’emozione?

Ok, al di là degli slogan da Baci Perugina, vado dritto al punto: quando Giuseppe viaggia spende tanto, come tanti di noi. “Non vergognarti”, si dice. Non bisogna per forza sentirsi in colpa. Giuseppe spende tanto perché – dice a sé stesso – un po’ se lo merita. È il suo momento di piacere, quello in cui stacca la spina. Dalla routine, dalla noia, da Milano. Ma anche dalla razionalità, come vedremo. I “lavoratori del turismo”lo sanno bene: in certi ristoranti i rincari sono altissimi, in alcuni momenti dell’anno il prezzo di una stanza d’albergo diventa inaccessibile e parallelamente l’aggettivo “Turistico” assume una connotazione negativa e delegittimante: “quel posto è turistico, ovvero: quel posto fa cagare, costa tanto e non è autentico, qualunque cosa voglia dire “autentico”.

Di fatto, a Giuseppe non piace andare nei “posti turistici”. Non ama pagare gli spaghetti all’astice 25€ nel ristorante di quel paesino fighetto in riva al mare. Non andrebbe in certi luoghi, tipo Dubai. Dubai è cattiva, capitalista, turistica nel suo senso più finto. Perdonatemi, ora sto semplificando, inanellando una sfilza di preconcetti. Ma è per capirci, suvvia.

Giuseppe si crede superiori ai Posti Turistici

Ci si aspetterebbe dunque che Giuseppe sia un turista responsabile, che sceglie con oculata attenzione i posti dove andare, che pianifica attentamente gli impatti di CO2 che provocherà nello spostarsi e che i suoi viaggi siano dettati, più o meno consapevolmente, da una qualche missione e da una vocazione interiore, o magari dalla voglia di scoprire cose nuove e sperimentare l’autenticità dei costumi locali a basso prezzo.

Non proprio.

Gli piacerebbe.

Ma non è così.

Torno a quanto detto prima: Giuseppe viaggia per staccare. In altre parole, per fare qualcosa di diverso. Un presupposto giusto, che rende Giuseppe un turista adattabile, non legato alle zone di comfort, né – tanto meno – allo sfarzo sbandierato dal turista alto-borghese. Ma qui arrivano i problemi: la messa in pratica, la realizzazione del viaggio. La trasformazione del pensiero in azione. Qui arriva il dramma shakespeariano di Giuseppe. Desideroso di conoscere, smanioso di fare nuove esperienze, di sperimentare un turismo autentico a tutto tondo, a differenza di chi vive la vacanza come l’ennesima occasione di rimarcare il proprio status. Giuseppe è scettico verso gli approcci altrui, e tuttavia, si ritrova a spendere più di quello che vorrebbe, e può farci ben poco se quello che riceve in cambio non ricompensa il valore della sua spesa, Giuseppe spende per tappare i suoi buchi, paga il suo pressapochismo. Critica il turismo spendaccione, ma ne è l’emblema. Si odia per questo, ma poi – a mente fredda – rivendica tutto.  

GIUSEPPE, NELLA PRATICA

Ne parliamo adesso. Fornendo aneddoti, com’è giusto che sia, come se fossimo al bar.

Ad ottobre, Giuseppe va a Cipro a trovare un amico, a fare del turismo. Va detto che questo viaggio non è partito col piede giusto. A settembre, dopo aver preso i biglietti, la compagnia aerea gli ha annullato il volo di ritorno. La permanenza a Nicosia avrebbe dovuto essere di 3 giorni, ma questo fatto ha cambiato le carte in tavola: Giuseppe dovrà organizzarsi per prolungare di qualche altro giorno, lavorando da remoto, perché i voli economici Cipro-Italia scarseggiano.

Un turista razionale e consapevole avrebbe immediatamente risolto il problema trovando il volo di ritorno meno oneroso possibile nel minor tempo possibile. Avrebbe anche avvisato il proprio responsabile a lavoro. Avrebbe agito proattivamente, come ci piace dire di questi tempi.

Non Giuseppe.

Giuseppe ha aspettato. ha atteso. Con calma olimpica. Non sa neanche lui bene cosa, ma non ha agito, arrivando a prenotare il volo di ritorno solamente 2 giorni prima della partenza e spendendo 4 volte di più del volo che gli era stato annullato. Inoltre, il suo superiore non è stato informato di nulla.

Ma perché questo? Per pigrizia e per ansia, concetti che si legano perfettamente come l’amido col Parmigiano. Pigrizia dettata da una procrastinazione naturale che impedisce di prendere decisioni istantanee, rinunciando all’efficienza di un’azione in nome dell’improduttività di un pensiero. Anzi, più pensieri, spesso di carattere – appunto – ansioso, legati a fattori di natura personale, lavorativa e organizzativa. Fattori esogeni, rumore all’interno del flusso di ragionamento. Insomma, brutalmente, la cosiddetta “testa tra le nuvole”.

Per sua fortuna, Giuseppe, sa aspettare

In estrema sintesi, si potrebbe dire che, per quanto riguarda il nostro Giuseppe, l’ansia genera pigrizia. Nell’arco del processo decisionale, diverse “cause di forza maggiore” (una situazione familiare o lavorativa complicata, ma anche cose molto più stupide) lo turbano, lui va in ansia e non riesce a pensare a quello che deve fare in quel momento (in questo caso, l’acquisto del volo di ritorno). Pertanto, si impigrisce, per poi riprendere in mano la situazione quando non potrà più farne a meno e dovrà necessariamente fronteggiare delle scelte. Più o meno così, per tutte le volte che deve prendere una certa decisione che implica un esborso monetario. L’incapacità di affrontare i problemi in un mondo di problem solver (su LinkedIn).

Se Houston fosse stato Giuseppe, l’Apollo 13 si sarebbe schiantato con tutto l’equipaggio.

Siamo esseri irrazionali, lo dice la scienza. Lo sanno le aziende. Le nostre scelte di consumo sono continuamente veicolate da stimoli esterni, input sensoriali, banner su internet, algoritmi, fattori nostalgia. La quantità di denaro investita per non farci pensare in modo autonomo è ingente. La quantità di denaro generata da questi investimenti è parecchio ingente.  

E poi ci siamo noi, chi più e chi meno naturalmente predisposti all’errore.

Giuseppe nel mentre continua a viaggiare, il giorno dell’Immacolata, sta viaggiando su un Frecciarossa pagato all’incirca una sessantina di euro. Tratta Milano – Bologna. Pagato a ridosso della partenza. L’avesse preso anche solo due giorni prima, avrebbe speso la metà. Ecco, un’altra scelta di merda, per dirla in francese. Ci ha pensato a lungo, Giuseppe, a questo Frecciarossa. Si è anche detto “prendilo per tempo, se non vuoi buttare soldi”. Tuttavia, la mancanza di un piano chiaro, di orari definiti, di scelte specifiche su cosa fare una volta arrivato a Bologna, l’hanno fatto temporeggiare. L’organizzazione è il supplizio peggiore che l’umanità possa permettersi, l’estremizzazione più radicale di questa moderna selezione naturale. Giuseppe persiste sia a viaggiare che a sbagliare.

Potrei andare avanti con l’aneddotica, ma mi fermo qui. Finiamola di maltrattarlo, il nostro caro Giuseppe.

LE SCELTE SI PAGANO, SI PAGA PER LE SCELTE

Nel turismo, ogni scelta sbagliata è penalizzante: un volo preso all’ultimo, un albergo prenotato in extremis. Il taxi per l’aeroporto, quando si è in ritardo. Tutte brecce nella difesa del nostro re, se giocassimo un’ipotetica partita di scacchi. In termini meno poetici, tutte brecce sul nostro conto corrente.

E se è vero che, da una parte, un turista un po’ ingenuo non potrebbe fare altro che maledirsi per questo, dall’altra dico: “per fortuna!”. Giuseppe è un turista stupidissimo e ingannabile, un soggetto errante nel suo doppio significato: viaggia e sbaglia, sbaglia e viaggia. Ma questa stupidità lo rende umano. La sua continua imprecisione, la costante inettitudine nel prendere la decisione giusta, nonché la persistenza in scelte di consumo discutibili, lo rendono da una parte una delle vittime dell’evoluzione, ma dall’altra un esteta inconsapevole del consumo turistico.

Al netto delle ingenti perdite economiche nel portafoglio (non che gli voglia fare i conti in tasca), Giuseppe vive delle esperienze reali. L’ansia che gli impedisce di pianificare le vacanze, le sue dimenticanze quando si tratta di acquistare i biglietti, sono esse stesse esperienze collaterali che danno colore all’esperienza centrale. Faranno parte della narrazione della vacanza. Non saranno d’accordo gli strenui difensori dell’organizzazione, che vedranno ogni ostacolo come un dispendio inutile di soldi e di tempo. Per Giuseppe ogni ostacolo è una suggestione.

Giuseppe si lascia trascinare dal vento, decide alla fine, viaggia senza conoscenza, senza cultura, senza Lonely Planet, è superficiale. Un perfetto ignorante che può tuttavia permettersi di sognare, assorbire scoprire, assimilare. Tutto sul momento, tutto all’ultimo. Perdendosi magari qualcosa, ma pazienza. L’esperienza turistica non è una check-list di posti da vedere.

Perché sì, Giuseppe sa che a volte ha le mani bucate, e che grazie a dio (o agli dèi) ha un lavoro, sennò mica le potrebbe fare ‘ste cazzate. Così come sa, il nostro buon Giuseppe, che deve lavorare parecchio su di sé, sulle sue ansie, sulla sua organizzazione. Tutto giusto, tutto vero. E sa anche, che dovrà lavorare parecchio per ripagarsele, le sue scelte.

Eppure, al netto di tutta la retorica di cui sopra, rivendichiamole tutte, almeno una volta nella vita, le scelte di merda di Giuseppe. Rivendichiamolo, questo modo di pensare sconnesso e antieconomico. Compiacciamoci per tutte le scelte sbagliate fatte in un viaggio, raccontiamole.

E, quando penseremo alle volte che abbiamo perso soldi e tempo per una vacanza e ci siamo arrabbiati, diciamocelo, anche solo sussurrando: Je suis Giuseppe.

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