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“QUEL POSTO E’ TROPPO TURISTICO”

ti ci potrebbero volere 6′ minuti di lettura, per scegliere una destinazione se ne impiegano otto

Vale la pena dare importanza a questa classica espressione, spesso intesa come lamentela verso luoghi considerati da stigmatizzare. Se esistono i “posti turistici” è una diretta conseguenza del mercato.

Il turismo ci porta a visitare destinazioni, formate da luoghi, che contengono posti, talvolta – addirittura – si possono incontrare delle attrazioni. Termine magnifico.
Le destinazioni sono come matrioske, sta a chi le visita capire dove recarsi, e fino a che punto continuare ad aprire la prossima matrioska. Fino a quanto potersi spingere prima di non trovarsi troppo piccolo ed indifeso all’interno di un contesto non suo.

Inevitabilmente esistono quindi i “posti turistici” o “da turisti”, e per opposizione, esistono posti dove i turisti non saranno ben visti, né tantomeno accolti. Il turismo è un’industria, e come tale ha bisogno di luoghi (e regole, scritte e non) in cui gli operatori possano svolgere il proprio lavoro. Esattamente come chi lavora per una fabbrica, ha bisogno di un capannone dove effettuare la propria professione, o un medico necessita di un ospedale od uno studio per poter operare. Si necessità del così detto “Servicescape”.

Quando un turista esce dal seminato, diventa a tutti gli effetti estraneo, non più desiderato. Rischia di vedere cose che non dovrebbe vedere, ritrovarsi in situazioni a lui non dedicate, o semplicemente riservate agli abitanti, dinamiche che non gli devono appartenere, dove fare foto non è più ritenuto opportuno per il rispetto verso il posto ed i suoi abitanti. Maggiore è il grado di turismo, maggiore sarà il numero dei luoghi dove la presenza di estranei sarà accettata, tollerata o addirittura incentivata. Tuttavia, vige la prudenza, cauti e testa sulle spalle: così come un estraneo non può entrare in sala operatoria o in una sala lavorazione di un’azienda, esattamente un turista dovrebbe portare rispetto dei luoghi in cui scegli di recarsi, e godere dei posti da turista, lui dedicati.

I posti “da turisti” sono quindi quelli messi a loro disposizione dagli addetti del settore; luoghi in cui idealmente vorrebbero venissero incanalati i flussi, per offrire loro servizi o beni di cui il turista non sapevano di avere bisogno fino a prima di imbattercisi. Vi sono i ristoranti con i menù tradotti in svariate lingue, questo è un servizio. È un tentativo di facilitare l’esperienza di visita, un atto di distensione verso l’ospite. Nonché un tentativo di incanalare i passi ed i minuti spesi dal turista nella destinazione, all’interno di una ben definita area geografica, per lo più ad essi adibita. Vengono inoltre offerti i servizi “per turisti”, i quali possono essere considerati come dei beni accessori, che confermano come l’industria in questione sia trasversale e comprenda molti altri settori.

Nei posti “da turisti”, vi sono inoltre una moltitudine di souvenir sotto forma di opere dell’artigianato locale, prodotte in sovrannumero rispetto al fabbisogno della popolazione per soddisfare la potenziale domanda di memorabilia. Orpelli di cui non sapevamo di avere bisogno fino a poco prima, ma essenziali per soddisfare l’insana voglia di souvenir. Curioso come – talvolta – la sovrapproduzione degli stessi contribuisca a salvaguardare le tradizioni dei processi produttive, che altrimenti rischierebbero di andare persi. Il tutto viaggia sul leggerissimo filo della sostenibilità? Si può considerare sostenibilità un atto che genera lavoro localmente nonostante aumenti nettamente la produzione di un bene potenzialmente superfluo? Legittimo domandarselo.

E la politica?

Può contribuire ad influenzare le regole dell’industria, tramite decisioni prese nel bene di tutti gli attori partecipi.

Parallelamente, può capitare, che i centri urbani cedono al turismo, svenduti da politiche amministrative troppo poco lungimiranti. Vengono progressivamente abbandonati dai cittadini i quali non hanno un effettivo bisogno di acquistare dell’artigianato “tipico e locale” (ma forse nessuno realmente lo necessità?), bensì hanno bisogno di fare “la spesa”. I locali hanno progressivamente abbandonato i mercati dei centri storici, in preda alla gentrificazione e dell’innalzamento dei prezzi. Accade quindi che in assenza di turismo, questi luoghi vanno a morire, seppur talvolta siano nelle zone più centrali delle città, compaiono desolati. Specialmente in determinati periodi dell’anno, viene a mancare la domanda, fondamentale per ogni industria.

È stato così per il 2020, l’anno nero del turismo, che ha visto qualsiasi indicatore ai minimi storici, vendite e realizzazione di artigianato locale inclusi, ristoranti e hotel, guide, nessuno ha gioito. Sicuri? D’improvviso i mercati cittadini, affollati da turisti foodie curiosi si ritrovano vuoti, spogli di visitatori ed abbandonati dagli abitanti che negli anni hanno traslato le loro abitudini di acquisto ad altri posti, a luoghi “non da turisti”.

Nell’era post pandemica abbiamo un’opportunità dinnanzi a noi, ed è quella di ritrovare il giusto equilibrio e la pace tra i luoghi, tra domanda ed offerta. Il turismo con i numeri del 2022 sta vedendo una netta ripresa rispetto al biennio precedente (nonostante instabilità politiche ed aumento di prezzi). Nei due anni passati molti abitanti dei luoghi ne hanno approfittato per riappropriarsi delle attrazioni locali, o talvolta per visitarle per la prima volta.

A titolo esemplificativo, il governo Giordano ha istituito programmi ed incentivi per fare visitare ai propri cittadini il sito archeologico di Petra e fare scoprire agli operatori del settore altre attrazioni “secondarie”. Rendendoli turisti nel loro paese, generando nuovi ambasciatori, aumentando la consapevolezza della cultura e l’identità nazionale, altrimenti malcelata dietro bandiere e vessilli. Non a caso può capitare che alcuni siti abbiano i prezzi dedicati ai residenti (rapportati ai salari e all’economia reale del Paese) per fare sì che in primis loro, possano godere delle amenità e della ricchezza del loro luogo. Ciò può apparire irrispettoso verso i turisti, che si vedono costretti a pagare un prezzo nettamente maggiorato, ma è una forma di preservazione e valorizzazione interna del bene.

È importante rendere gli abitanti consapevoli del perché i visitatori prendono aerei / mezzi per fruire di quel sito o vivere quell’esperienza. Anche questo rientra nel processo di accettazione del turista, e del turismo, in più posti e contesti. Operazioni come queste servono, particolarmente in paesi in via di sviluppo, a levare di dosso allo straniero l’etichetta di “dollaro che cammina”. Reciprocamente il turista non dovrà abusare del suo potere d’acquisto per arrogarsi diritti non suoi e comportarsi in maniera irrispettosa verso il luogo ed i suoi custodi.

Se questa equazione di muto aiuto rispetto viene capita, ed applicata, da entrambe le parte ne guadagnerà in qualità l’offerta dei servizi, profusi meno sommariamente e con maggior orgoglio e senso di appartenenza a quel luogo da parte dei locali. E magari chissà, anche i residenti inizieranno a considerare i mercati, ed i souvenir artigianali, come luoghi validi dove acquistare prodotti di qualità.

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