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TURISMO NERO, SIAMO TUTTI COMPLICI

ti ci potrebbero volere 8′ minuti di lettura, un terzo di una puntata della tua serie preferita

L’ oscura pratica di visitare località che si sono rese tristemente celebri per aver dato scena ad avvenimenti che hanno contribuito a segnare irreversibilmente la storia del luogo stesso, o delle popolazioni coinvolte nei fatti.

Mi sono imbattuto nella questione del “Dark Tourism”. È stato difficile anche solo trovare una definizione univoca di cosa sia. Lungi da me scrivere qualcosa di accademico, sia chiaro, ma definire la questione è un punto di partenza. Ricercando, leggendo ed informandomi mi reso conto di aver scoperto l’acqua calda. Di aver trovato un vaso di pandora abbandonato ed aperto. Persino Netflix è arrivato prima di me, e nel 2018 ha lanciato “Dark Tourist”. Carino.

Vale la pena definire la questione. Il Turismo Nero è la pratica di visitare località che si sono rese tristemente celebri per aver dato scena ad avvenimenti che hanno contribuito a segnare irreversibilmente la storia del luogo stesso, o delle popolazioni coinvolte nei fatti.

definizione del tutto personale

Mi è capitato di visitare personalmente due siti: Varosha a Cipro e Tskaltubo in Georgia. Per capire il Black Tourism, è bene essere un Black Tourist.

Varosha è conosciuta anche come la ghost town di Famagosta in seguito all’occupazione che le truppe turche fecero della città greco-cipriota nell’agosto del 1974. Da allora diverse risoluzioni delle Nazioni Unite hanno cercato di sbrogliare la matassa, e restituire la città ai legittimi proprietari. Formalmente all’interno della Buffer Zone, zona non sotto il controllo dei caschi blu, ma in mano all’esercito turco; dal 2020 ha deciso di aprirne i battenti al pubblico. Il primo anno di apertura ha fatto registrare oltre 200.000 visite. Un successo per i fini propagandistici della “Repubblica Turca di Cipro Nord”.

Tskaltubo si trova nel mezzo della pianura che circonda Kutaisi, seconda città della Georgia. Nasce come una delle numerose stazioni terapiche termali per la cura di malattie, che l’URSS offriva ai propri cittadini: i sanatori. Il suo apice lo raggiunge negli anni 60-70, dove i 25 diversi hotel presenti riuscivano ad accogliere 125.000 ospiti all’anno provenienti, in treno, da tutti i paesi dell’unione sovietica. Dalla caduta dell’URSS nel 1991 si è andati incontro ad un inesorabile stato di abbandono. Tuttavia, alcuni degli edifici sono tornati ad essere abitati dai profughi della guerra in Abkhazia del 1993. Oggi l’area è visitabile, senza nessuno che la controlli, al di là dei cani randagi.

Due posti a modo loro simili, per lo stato d’abbandono in cui giacciono. Per la vita che li ha attraversati, e che ora non scorre più, se non a intermittenza in un tempo che pare sospeso tra una foto rubata ed un calcinaccio pericolante. Due luoghi innaturali, alterati dall’intervento umano e abbandonati dalla brutalità della storia. Mi è capitato, insomma, di essere un Dark Tourist. Mi è capitato di pensarci su. E se lo fossi sempre stato? Certo, non era la prima volta. A pensarci bene, ho visitato più siti macabri che luoghi felici. I posti tristi aiutano a comprendere la storia, il passato. I posti dove invece si percepisce felicità, vita, aiutano a vivere il presente, non necessariamente a comprenderlo. Per il futuro invece? Beh, ci sono i cartomanti, o si può sempre osservare i cantieri no? Ecco. Lasciamolo lì il futuro per il momento.

Nel visitare questo genere di mete – non mi azzardo a chiamarle “destinazioni”, puramente per rispetto verso chi le destinazioni le crea, le amministra e le promuove, ma tant’è – dovrebbe essere spontaneo informarsi sul perché si è arrivati a tanto. Sul perché quell’edificio è abbandonato, è andato distrutto o addirittura risulta interdetto dalle autorità. Già che assurdità. Gira che ti rigira, prima o poi dovevo imbattermi in questa tipologia di Turismo. È inevitabile. E lo è per tutti noi turisti. Basta dare un’occhiata alle liste di luoghi di Turismo Nero che si trovano nel web per capire che nessuno ci può scappare, che siamo tutti stati degli inconsapevoli Turisti Neri: Auschwitz. Chernobyl. Hiroshima e Fukushima. Ground Zero a New York. La casa di Anna Frank ad Amsterdam. I tunnel dei vietcong nei pressi di Ho Chi Minh City. I musei dei Khmer Rouge in Cambogia. La prigione di Alcatraz. Le catacombe, ovunque esse siano. I cimiteri. Gli ossari. Addirittura, Pompei ed in certi casi persino il Colosseo viene incluso nella lista. Per non parlare di tutti i luoghi resi tristemente noti dalla “nostra” cronaca nera. Cogne, Avetrana, Mazzara del Vallo, Erba, Garlasco, la casa di Meredith a Perugia. Tutti posti che, senza la cronaca, senza l’attenzione mediatica, mai sarebbero finiti in questo articolo, mai sarebbero entrati nelle nostre vite.

Viviamo in un mondo bipolare, dove dark = oscuro; oscuro = brutto, cattivo, paura. In questo mondo bipolare – mi domando – voglio io essere un turista oscuro, brutto e cattivo? Voglio essere parte del mondo che mi circonda? Non necessariamente, ma vorrei quanto meno provarci. Provare a capire.

Siamo turisti di noi stessi. La mattina facciamo colazione in un caffè suggeritoci da Tripadvisor, il pomeriggio visitiamo un luogo che fu teatro di morte e distruzione, e la sera ci facciamo i selfie al ristorante dove si mangia il tipico cibo tipico. E ancora siamo bravi, ci sentiamo superiori. Perché almeno io i selfie con il selfie-stick (esistono ancora o sono rimasti nel 2018?) non me li sono fatti visitando i “luoghi della memoria”. Io, noi, non siamo mica come quegli zoticoni che sicuramente non si sono informati sul luogo in cui si trovano, o si sono trovati. Quei buzzurri che si fanno le foto, i video solo per condividerle. Io sono presuntuoso. Io penso, cerco vanamente di empatizzare.

Giungo alla conclusione affrettata che se uno si immortala radioso, o non si comporta mostrando rispetto e redenzione, allora non sia degno di essere un turista passato al lato oscuro. Io osservo. Tutt’al più condividerò un articolo. Siamo tutti bipolari. E viviamo tra due poli lontanissimi tra loro – per definizione, agli antipodi – ma che ci permettono di spaziare attraverso la magnificenza della natura e la cattiveria di chi la natura la abita.

Perché visitarli quindi? Quale forza magnetica sovrannaturale porta un turista ad investire il suo prezioso tempo di vacanza per vedere, toccare (a suo rischio e pericolo) e calpestare posti segnati irreversibilmente da eventi macabri? Perché tutto sommato può essere istruttivo. La curiosità va soddisfatta, specie in vacanza. Vero. Ma a che prezzo? Talvolta si subisce uno shock talmente grande che scuote inevitabilmente la coscienza del visitatore. È bene essere preparati agli shock, per saperne attutire i colpi. È bene approcciarsi in maniera costruttiva alla visita.

L’approccio, la tipologia di ingaggio, è quindi ciò che fa la differenza. L’essere informati è ciò che ci salva dall’essere fuori-luogo. Un luogo, sia esso o meno una destinazione, va assorbito. Attraversato. Capito. Ascoltato. Certo ci vuole tempo, e rispetto verso il tempo di chi quel posto lo ha vissuto, amato, magari lo ha chiamato “casa” o “patria”. L’essere dentro un luogo è ciò che ci permette di sentirci a nostro agio e di trarre insegnamenti da esso, dalla sua storia e dai suoi trascorsi. Ci permette di conservarne la memoria. Di poterla trasmettere. Di cogliere il tempo che si è fermato a sua volta in quei luoghi. Orologi immobili che testimoniano come prima della tempesta vi era calma, vita.

È dunque difficile rinunciare al turismo dark. È difficile non volere imparare; rifiutarsi di apprendere dovrebbe essere un crimine se applicato al contesto del viaggio. È difficile chetare la curiosità. È difficile sconfiggere le proprie paure, sovrastare i sentimenti, convertire la tristezza – insita in quei luoghi – in sapere.
È difficile essere un dark tourist. Ma come sempre: basta non pensarci.

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